Settembre può essere un mese difficile: riparte la scuola, riparte il lavoro, riprendono o iniziano progetti e attività. Meglio affrontarlo allora con il sorriso, con un buon film in grado di divertirci e farci riflettere. Vi consigliamo I Mitchell contro le macchine, lungometraggio d’animazione uscito direttamente su Netflix a fine aprile 2021. Con un’animazione grafica sorprendente (il team è lo stesso di Spiderman – Un nuovo universo), il film racconta di una famiglia ben poco perfetta che si scopre in grado di affrontare difficoltà stra-ordinarie (in questo caso l’apocalittico attacco di robot creati da una multinazionale stile Apple). Una storia tutt’altro che nuova, che negli ultimi anni abbiamo già incontrato, per citare alcuni esempi, in Little Miss Sunshine, ne Gli Incredibili o nei Croods.
Qui però viene messo a tema il rapporto che ognuno di noi ha con il digitale, contemporaneamente strumento, ambiente e tessuto connettivo che tiene insieme storie, progetti, relazioni. Per la figlia Katie la videocamera e il pc sono gli attrezzi con cui fare video, il web lo spazio dove pubblicarli, ricevere feedback, stringere relazioni con chi ha la sua stessa passione, candidarsi alla scuola dei suoi sogni. Per la mamma Linda il digitale si limita alla vetrina dei social, sulla quale sentirsi perennemente in competizione con la famiglia instagrammabile dei Posey. Per papà Rick, infine, il digitale è un ostacolo alle relazioni famigliari, lo schermo che impedisce di guardarsi negli occhi e che marca una distanza incolmabile tra generazioni.
Proprio su questo la narrazione dei Mitchell costruisce l’evoluzione dei suoi personaggi, giocando sul tema chiave della creatività. L’artigianato del padre, che ama scolpire il legno, smontare e rimontare oggetti (il cacciavite è il suo oggetto magico), si rivela una competenza trasversale che in Katie si traduce nell’inventare set, organizzare riprese casalinghe e montare video virali che hanno per protagonista il cane Mochi. Un artigianato del cinema che richiama esplicitamente i b-movie degli anni ‘50, dove creare gli effetti speciali significa saper usare filtri e adesivi come in Tik Tok. Il padre, alla fine del proprio percorso narrativo, imparerà a riconoscere questa competenza, scoprendo la figlia più vicina a lui di quanto credesse.
Nei Mitchell troviamo molti altri spunti, più o meno originali: il mercato “cattivo” e la rivolta delle macchine, l’algoritmo che si inceppa di fronte a qualcosa fuori dagli standard (cane? maiale? pane in cassetta?), l’anima performativa dei social, il legame tra memoria e dispositivi di archiviazione (se nessuno avesse registrato i video dell’infanzia di Katie, lei avrebbe compreso i sacrifici del padre?). Più in generale, il film è (anche) una riflessione sull’estetica (i video di Katie sono “belli”?): come ci ricorda Pier Cesare Rivoltella nel suo libro “Nuovi alfabeti” (recensito qui), proprio l’estetica, insieme a critica ed etica, deve diventare una delle componenti fondamentali della New Literacy, la media education aggiornata agli anni che viviamo.
Buona visione!