E’ di questi giorni la notizia del reclutamento di Fedez e Ferragni per incentivare tra i giovani l’uso della mascherina (la Stampa). Capite bene che per noi che da tempo ci occupiamo di promozione della salute la cosa interessa e forse irrita sotto diversi aspetti.
In prima istanza ci sono i numeri. Fedez su Instagram ha 11,1 milioni di follower. Chiara Ferragni ne ha 21,5 milioni. E qui mi fermo: con un potenziale pubblico di 32,6 milioni di persone siamo a oltre il 50% dei circa 60 milioni di italiani (fonte Istat). Alcuni follower saranno in comune, altri saranno stranieri, ma si tratta comunque di un numero che fa invidia a chiunque si occupi di comunicazione. Il messaggio di Fedez ha ad oggi 573.000 visualizzazioni solo sul profilo IG di Repubblica.
Il dibattito, ovviamente, è acceso. Alcuni commenti si stanno già delineando sulla tristezza che per convincere le persone si debba ricorrere agli influencer. Qualcuno critica il fatto che Fedez non dovesse dire di essere stato chiamato da Conte, “beati quei popoli che non hanno bisogno di Fedez e Ferragni,” … Tutte considerazioni legittime che riaprono vecchie domande. Vi ricordate? Negli anni 80-90 ci chiedevamo se negli spot sociali funzionassero i testimonial, quanto fossero credibili ed efficaci.
Al di là di tutto, questa vicenda ci permette di fare alcune osservazioni utili.
Innanzi tutto il messaggio corretto. Si è concentrato sulla mascherina, una cosa semplice da capire e da fare, non ha fatto proclami dicendo che questa cosa salverà il mondo, ma ha semplicemente ricordato che se la situazione peggiora, l’Italia non può permettersi un altro periodo di blocco totale (prospettiva che spaventa tutti). Ricapitolando: messaggio chiaro, contenuto concreto e semplice, risultato desiderabile e condiviso. Chapeaux! Avremo tempo per valutarne l’efficacia.
Quindi? Quindi mi sono chiesto, tra le tante azioni di protezione che ci sono state consigliate, perché le app di tracciamento hanno fallito e sono sparite? Perché anche noi operatori sociosanitari siamo in crisi di fronte allo scaricare o meno l’app Immuni (io stesso l’ho installata solo 15 giorni fa)?
Scaricare Immuni dovrebbe essere uno slancio emozionale (individuale) e ideologico (sociale).
Razionalmente ci sono mille ragioni per starne ben lontani. La privacy, il funzionamento incerto, la difficoltà dei servizi a gestire i feedback e a usarla come strumento utile, il fatto che sia stata pensata dall’alto senza concordare con i territori delle strategie di diffusione e gestione delle segnalazioni, il fatto che in 6 mesi non si possano recuperare 20 anni di disinvestimento su scuola e sanità, etc…
A livello emozionale scaricare immuni è un messaggio a sé stessi, a chi ritiene i blocchi inutili (e infatti sarebbero più utili altre strategie: potenziare trasporti, disinfezione, … ma non vogliamo o riusciamo a farlo). Allora favoriamo il tracciamento, lasciando da parte anche falsi alibi: se avete uno smartphone acceso la vostra privacy è già compromessa. Ci fidiamo forse più delle aziende che dello stato? Diffidiamo di entrambi?
Usare le cinture di sicurezza, diminuire il consumo di sale, moderare l’assunzione di alcolici, (aggiungerei usare la mascherina), sono misure che abbassano lievemente il rischio individuale. A livello di popolazione, invece, la situazione è diversa. Per esempio: ridurre di circa il 10% il colesterolo in una comunità potrebbe diminuire di oltre il 20-30% le malattie cardiache nella popolazione; diminuire del 30% il sale consumato potrebbe far diminuire di circa il 20%, a livello di popolazione, i casi di alcune patologie vascolari. In breve: una misura molto vantaggiosa per la comunità è solo di scarso aiuto per la persona. È questo il “paradosso della prevenzione” (Rose 1983): mettere in atto un comportamento che sembra poco utile per me, ma che diventa molto utile alla comunità.
Allora? Scarichiamo?